Un’ospite speciale al Parkinson Cafè

In questo sabato pomeriggio d’inverno, in cui il freddo ci dà una leggera tregua, accogliamo la nostra ospite al Parkinson Cafè. Un’ospite che abbiamo voluto nel nostro spazio per la delicatezza che traspare dalle sue parole scritte, per la drammaticità del loro significato, per la positività che sono in grado di trasmettere. Un romanzo d’esordio per Valeria Pecora che tocca le corde più intime di un rapporto profondo, come sa esserlo quello con la propria madre, di una vita scandita tanto dall’amore quanto dalla malattia, la Malattia di Parkinson.

Il racconto de “Le cose migliori” si snoda attraverso le maglie della vita di Irene, bambina, adolescente, donna e futura madre. Una donna che grazie alla sua educazione, al suo carattere forte, all’amore per se stessa e per la vita saprà crescere nella Malattia della mamma, un Parkinson che non lascia scampo agli occhi di Irene di appena sette anni, e allo stesso tempo saprà crescere al di fuori della Malattia stessa per costruirsi una vita in cui la cifra dominante è sicuramente l’amore.

Ci troviamo di fronte ad un romanzo che racconta il Parkinson non tanto di chi lo subisce direttamente, la mamma, ma soprattutto di chi lo vive di riflesso, appunto Irene, figlia bambina, “figlia” di Parkinson che non capisce il perché di quanto sta succedendo a lei e alla sua famiglia.

I primi segnali della Malattia di parkinson

C’è un passaggio del romanzo all’inizio che rivela alla bambina Irene la Malattia della mamma e nel quale forse molti dei nostri ospiti possono ritrovarsi. E’ un attimo che rappresenta in qualche modo il passaggio, dal prima, dalla vita d’infanzia spensierata, al dopo.

E’ sicuramente un passaggio del libro tenero, dolce, innocente… ho voluto ricostruire l’arrivo delle prime avvisaglie della malattia e gli occhi di Irene, figlia e bambina, che vede sua madre cambiare. Si tratta di un passaggio commovente, toccante ma anche necessario. A me è servito ad esorcizzare il dolore e a capire che ai figli, anche se piccoli, va raccontata la verità della malattia. Ovviamente con il linguaggio e la sensibilità adatta ai bambini. Ciò che per me è stato più terrorizzante in assoluto da piccola, è stato non capire cosa stesse accadendo a mia madre, cosa comportava e avrebbe comportato la sua malattia. Alla fine degli anni Ottanta la malattia di Parkinson era praticamente sconosciuta. Oggi per fortuna le cose sono cambiate, la si conosce, la si cura meglio e per molti anni si può condurre una vita praticamente normale, autonoma e indipendente.

Quando hai maturato dentro di te l’idea che fosse arrivato il momento di raccontare questa storia, di farla uscire dalla tua mente e mettere nero su bianco sensazioni, paure e speranze?

Il desiderio di parlare di questa storia è emerso un paio di anni fa quando ho iniziato a scrivere questo romanzo per fare in qualche modo pace con la bambina di un tempo che all’epoca non aveva tutti gli strumenti per affrontare una malattia cosi importante e devo dire che scrivere della mia esperienza con il Parkinson mi ha aiutato a stare meglio e a non sentirmi più sola.

Veniamo ora alla realtà di una famiglia in cui il Parkinson fa il suo ingresso a gamba tesa. Nella testa della bambina Irene il fenomeno non si spiega e questo la rende impreparata perché come le fai raccontare ad un certo punto: “Quando sei piccola hai bisogno di comprendere quello che devi affrontare. Serve una causa, una punizione da sopportare… ma poi deve tornare tutto come prima”. Ecco questo “tutto deve tornare come prima” penso sia un pensiero di tutti i bambini/adolescenti che vivono in qualche modo una malattia di un genitore, a maggior ragione se questa è il Parkinson. Come si spiega ad un bambino una malattia come il Parkinson?

Il consiglio è quello di non mentire mai sulla Malattia. Ai genitori che si ritrovano con una diagnosi di Parkinson dico di  affrontarla insieme ai propri figli, anche se piccoli, utilizzando un linguaggio adatto al loro mondo, che sopraggiungeranno dei cambiamenti, ma che la vita continua ad andare a avanti e che si può cercare di essere felici e trovare una propria normalità anche nella malattia. In questo devo ammettere che mio padre è stato un bravissimo insegnante e un bellissimo esempio: non ci mai nascosto nulla, ha condiviso con me e le mie sorelle cosa stava succedendo alla mamma, con parole semplici senza spaventarci e rassicurandoci che l’amore di entrambi non sarebbe venuto meno.

La diagnosi del Parkinson

In un altro passaggio cruciale descrivi con grande accuratezza il momento in cui la Malattia di Parkinson trova un posto ufficiale nella vita e nella mente di Maria, la mamma di Irene con la visita “dal capo indiscusso della regione in quel comparto della medicina” che non lascia scampo e segna una svolta nella vita di tutti.

Questa lettura è molto forte emotivamente, so che il mio libro può trasformarsi in certi passaggi, in una bomba emotiva. Descrivo le limitazioni che ha comportato la malattia di Parkinson, le paure che ha generato e il senso di colpa ma vorrei leggerlo proprio per far propagare un senso profondo di comprensione, di empatia e di affetto. Ci sono ancora tanti tabù riguardo alla malattia di Parkinson. Non sai quante volte mi è capitato di raccogliere le confessioni di donne giovani e mature signore che mi confessavano, in occasione delle mie presentazioni, la difficoltà di parlare ai propri familiari della malattia di Parkinson.

Quali sono le “cose migliori” oggi e come immagini il tuo futuro?

Le cose migliori sono quello che già sto vivendo e coltivando… l’affetto e il calore della mia famiglia e continuare con la scrittura iniziando a scrivere il mio secondo romanzo. Poi sicuramente desidero portare avanti la mia  testimonianza di vita sulla Malattia di Parkinson per fare in modo che se ne parli.  Parlare è l’unica arma, ridimensiona i timori, aiuta a non sentirsi soli. Rompe tutti i tabù e i pregiudizi.